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Chiesa dei Cappuccini di Prato
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Presenza dei Cappuccini a Prato



Nota introduttiva

A) Nel compilare questo breve lavoro mi sono servito delle seguenti opere:
  • "Storia dei Cappuccini Toscani", opera in due volumi di P. Sisto da Pisa.
  • "Memoriale dei Frati Minori Cappuccini della Toscana”, opera in un volume stampato in occasione del quarto centenario della Provincia.
  • "Memorie spettanti al Convento dei Cappuccini dì Prato estratte da un libretto manoscritto antico l'anno 1710 dal P. Giovanbattista da Castelfiorentino predicatore e guardiano del medesimo convento". Il titolo è indicativo del contenuto; ci sono poi aggiunte scritte in ordine sparso dai suoi successori.
  • "Memorie e ricordi appartenenti al convento dei Cappuccini di Prato". Manoscritto che rifà la storia del Convento sino alla fine del 1700, servendosi del precedente manoscritto e di documenti dell'archivio sia religioso che civile. L'opera viene poi continuata, come cronaca ma in modo discontinuo fino ai giorni nostri.

B) Vanno tenute presenti alcune considerazioni:
  • In quei due manoscritti non ci possiamo trovare la cronaca ordinata come la immaginiamo noi oggi; generalmente si tratta di annotazioni varie che venivano fatte ad utilità degli immediati successori e non per tramandare qualcosa alla storia. Unica eccezione è la ricostruzione storica fatta alla fine del 1700, dalle origini fino ad allora.
  • Qualcosa è andato certamente perduto in occasione delle soppressioni e di vicende varie.
  • Si scrivono gli avvenimenti fuori del comune e non ciò che fa parte della vita quotidiana; i Cappuccini del 1600 non pensavano certo a scrivere per una ricerca di tre secoli dopo.
  • Io spirito di umiltà che animava quei Cappuccini impediva loro di scrivere il bene che facevano; forse erano più preoccupati di "essere" che di tramandare ai posteri le proprie gesta.

  
 
Chiesa e Convento
fondazione e sviluppo

 
La presenza dei Cappuccini a Prato risale alla seconda metà del 1500, circa quaranta anni dopo l'approvazione dell'Ordine. Il giorno 11 Luglio 1566 il Superiore Provinciale scriveva una lettera ai "Molto magnifici signori Priori" di Prato: dopo aver ricordato “gli amorevoli trattamenti” ricevuti in occasione di visite saltuarie ed aver elogiato gli animi dei pratesi "non meno virtuosi che inclini alla religione", chiedeva per amore di Gesù Cristo un luogo dove poter “servire Dio e procurare con l'aiuto di Sua Divina Maestà la salute delle anime".
 
Il 14 dello stesso mese il Consiglio Generale "attesi i buoni costumi e le qualità di essi religiosi" rispondeva affermativamente con 45 voti favorevoli e 5 contrari; e concedeva ai Cappuccini l'oratorio di Santa Maria dell'Erta a condizione che lo ufficiassero senza onere per il comune.
 
Tale oratorio era stato costruito a spese della comunità di Prato presumibilmente nel 1527; ma col passare degli anni l'edificio era stato trascurato, e la devozione alla Madonna quasi scomparsa.
 
Qualche difficoltà si incontrò per il luogo dove doveva sorgere il convento. Infatti secondo la consuetudine cappuccina sancita già allora nelle Costituzioni, il convento non doveva essere troppo vicino alla città, in modo che i frati potessero pregare e studiare; ma nemmeno troppo lontano, perché la distanza non ostacolasse l'apostolato e il bene delle anime. Ed il luogo offerto era appena fuori Porta Mercatale.
 
Superata tale difficoltà con la permuta del terreno, nel 1569 si pensò alla costruzione del convento; ed il giorno 13 Agosto di quell'anno, accompagnati dall'autorità sia religiosa che civile, i primi cappuccini si recarono processionalmente alla Madonna dell'Erta dove, secondo la consuetudine dell'Ordine, fu innalzata la Croce.
 
"Così fu preso possesso della città che fece mettere la propria arma sopra la porta della chiesa e ne fu dato l'uso ai cappuccini; con questo, però, che detta chiesa non si chiamasse più per l'avvenire con il titolo di Santa Maria dell'Erta ma con quello di Santa Maria delle Grazie e che nella seconda domenica di Agosto di ciascun anno dovessero i cappuccini celebrare la festa di detto titolo.
 
Circa quel primo convento, il cronista dopo avere annotato che fu costruito in un anno dalle Opere Pie di Prato scrive: "Si attennero alla più stretta misura, mentre il convento riuscì talmente angusto e basso che stando nelle celle ai toccavano con le mani i cavalletti del tetto; le celle poi riuscirono piccole in modo tale che di tre delle medesime non si sarebbero formate neppure due dentro la misura delle nostre Costituzioni". (1)
 
Due secoli più tardi l'oratorio era diventato troppo angusto per il culto alla Madonna che nel frattempo si era sviluppato. Così fu costruita una chiesetta consacrata il 20 Maggio 1753 dall'Arcivescovo di Firenze con grande partecipazione ed esultanza sia del clero che del popolo pratese.
 
Tale chiesetta continuò ad essere ufficiata fino al 1928 quando, essendo stata costruita quella nuova, fu trasformata prima in cenacolo francescano per il Terz'Ordine e quindi in sede permanete di "mostra missionaria". Ed è quella che si nota all'inizio della Salita dei Cappuccini, di fronte a Via Sant’Anna.
 
Anche quel minuscolo convento resistette circa due secoli. Nel 1760 sia per la ristrettezza della costruzione, sia per il legname che stava marcendo e sia perché qualche parte minacciava di crollare, fu iniziato il lavoro di un radicale ampliamento, o meglio di ricostruzione.
 
Il cronista, con molta pignoleria, fa l'elenco delle Opere Pie di Prato e dei privati cittadini che in vari modi collaborarono alla ricostruzione, annotando scrupolosamente lire e centesimi.
 
Quel conventino del settecento che sullo sfondo dei cipressi costituiva una mirabile sintesi di semplicità, di armonia, di silenzio e di preghiera, oggi si può vedere solo nelle fotografie dei primi anni del nostro secolo. Rimaneggiato più volte dal 1930 per adeguarlo alle nuove esigenze dei tempi, circondato in gran parte dalle moderne costruzioni…
 
L’opera dei Cappuccini
durante la peste del 1600

 
Facendo un passo indietro, fermiamoci sull'opera svolta dai Cappuccini di prato durante la peste del 1600 nella nostra città.
 
Quando nel novembre del 1630 fu trasformato in lazzaretto il convento di Sant’Anna appartenente ai monaci leccetani, ne fu affidata la gestione alla Compagnia del Pellegrino. Questa fece appello al vicino convento dei Cappuccini (uno dei pochi edifici rimasti immuni dal contagio) supplicando “con le lacrime agli occhi e per le viscere di Gesù Cristo" perché alcuni frati si dedicassero all'assistenza religiosa degli appestati. I Cappuccini risposero prontamente, pur giudicandosi indegni di tale onore (2). Risposero pure prontamente poco tempo dopo quando furono pregati di prestare la loro opera nella succursale del lazzaretto, stabilita nella villa Leonetti, tra il convento e la Castellina.
 
Tre sacerdoti e un fratello laico si posero immediatamente all'opera. Da principio andavano al lazzaretto e tornavano in convento dopo avere svolto il loro apostolato con zelo encomiabile; in un secondo tempo, sia per assistere meglio i malati e sia per non propagare li contagio, si rinchiusero nel lazzaretto perché "il desiderio loro altro non era che di servire in tutto e per tutto alla carità; pregando Dio che desse loro forze e vita per consacrarsi tutti per amor di Dio in opera della quale benché indegni abbracciavano l'impresa”. Riassumendo varie pagine di interessanti documenti riportati nella Storia dei Cappuccini Toscani da P. Sisto da Pisa, possiamo stabilire quanto segue:
 
I Cappuccini ebbero praticamente tutta la responsabilità all'interno del Lazzaretto, e non solo quella dell'assistenza religiosa. Tra l'altro dovettero provvedere agli inconvenienti derivanti dalla promiscuità, "cioè che nel medesimo luogo stavano mescolati uomini e donne alla rinfusa”. Si ordinò pertanto la separazione di un sesso dall'altro e ciò si fece con intera pace il terzo giorno dopo averne pigliato il possesso, facendo fare agli usci serrature, saracinesche ed altre cautele stimate necessarie per ottenere il fine preteso. Questa provvisione incontrò l'accettazione del comune e fu commendata universalmente da tutti come migliore opera di pietà e la più utile che si potesse fare a fine di tener lontani quegli inconvenienti che fino allora si sapeva per esperienza essere seguiti.
 
Dovettero pure occuparsi dei cadaveri del camposanto: dato che o per la negligenza dei becchini o per la poca profondità delle fosse "i cani correndovi al sito portavano in qua e in là le membra strappate dei sepolti col pericolo di dilatare maggiormente il contagio... i nostri Padri andarono alla Porta Mercatale e mandati a chiamare i deputati fecero loro intendere doversi rimediare ad una cosa di tanta conseguenza".
 
Evidentemente anche in quel secolo la carota soltanto non bastava a governare la gente!
 
Per il sostentamento dei cappuccini la Compagnia del pellegrino assegnò loro uno stipendio mensile di 140 lire fiorentine, che era lo stipendio solito darsi ai confessori.
 
"Ma vedendo i nostri Padri non esser necessaria tanta provvisione e contentandosi di molto meno, facendo una vita povera da figli del Serafico Padre, fu determinato che l'avanzo di detto danaro servisse per iscarcerare i prigionieri poveri, come di fatto seguì con edificazione e buon esempio di tutti".
 
Alcuni brani di documenti sono sufficienti ad indicare lo spirito con cui quei cappuccini esercitarono il ministero sacerdotale tra gli appestati: "Intrepidi e costanti si posero ad esercitare con grandissima allegrezza la carica del loro ministero stimando esser giunta l'ora opportuna di guadagnare il paradiso. Si presentarono dunque e ingolfarono con raro spirito di umiltà e carità nella cura di quelle anime servendo ad ognuno anche nelle necessità corporali; e pregavano Dio che desse loro spazio di vita tutto il tempo che durasse il fulminato flagello, per l'ardentissimo desiderio che avevano d'affaticarsi a benefizio dei prossimi, bramando di finir la vita allora che fosse finito".
 
“Non mancava di tanto in tanto P. Francesco d'esortare con ogni affetto d'amore quelli astanti e ministri a proseguire animosamente l'opera incominciata ed impiegarsi insieme con lui nella conservazione di quei poverini, promettendo a tutti per ricompensa la vita eterna".
 
"Confessò e comunicò tutti, esortandoli a rimettersi totalmente nelle amorose braccia del Signore; per lo più infervorati coloro dalle caritative parole del Pare si appigliarono al suo pietoso consiglio, con rassegnazione alle divine disposizioni".
La peste passò, ma nel suo carico di morti ci mise anche i tre sacerdoti cappuccini che avevano esercitato la loro opera di carità: Padre Michelangelo Cardosi, di nobile famiglia lucchese , e i due pratesi Padre Francesco Cepparelli e Padre Stefano Neri, sacerdote novello; il fratello laico Frate Ambrogio da San Quirico morì vari anni dopo nel convento di Muntughi.
 
I tre Cappuccini morti furono seppelliti nel cimitero fuori porta fiorentina. Nella cappella di San Rocco dello stesso cimitero fu posta questa iscrizione: "Qui attendono l'ultimo giorno seicento salme tolte via dalla pestilenza, tra cui quelle di tre pietosi cappuccini e quella di un Minore Osservante deputati alla amministrazione dei sacramenti per cura e spese della Compagnia del Pellegrino, i quali come furono congiunti in vita col vincolo della carità neanche in morte sono stati divisi".
 
La Compagnia del Pellegrino come gesto di riconoscenza offrì ai cappuccini il governo della fratellanza, ma essi rifiutarono contentandosi della semplice iscrizione tra i fratelli.
 
Il Convento dei Cappuccini
nelle varie soppressioni

 
All'epoca di Scipione de Ricci, vescovo di Pistoia e Prato, anche il convento dei cappuccini di Prato andò soggetto alla soppressione, sia pure per una strada diversa da quella degli altri conventi della città. Essendo, infatti, nella parrocchia di Filettole che apparteneva alla Diocesi di Firenze, veniva a trovarsi fuori della giurisdizione di Scipione de' Ricci; per sopprimerlo si dovette far ricorso al 'braccio secolare' cioè al Granduca Leopoldo Primo. L'occasione propizia si presentò il 20 Maggio 1787, quando i pratesi insorsero sia contro le "novità" del vescovo che a difesa del sacro Cingolo. Tramite un ecclesiastico pratese i Cappuccini furono accusati presso il Granduca dì avere incitato la popolazione alla ribellione col suono delle campane; dì avere usato del sacramento della confessione per mettere i fedeli contro il vescovo; e infine di nascondere armi in convento.
 
Così il 22 Maggio, contro ogni aspettativa, alle quattro del pomeriggio comparve al Convento il Commissario del Granduca intimando la soppressione. Tempo per sgombrare: fino alle quattro del mattino seguente, cioè dodici ore. Sgombrare in dodici ore, di notte e con i mezzi di trasporto di allora non doveva essere certamente una cosa facile. La roba di chiesa e di sacrestia fu inviata in altri conventi, escluso quello di Pìstoia che, era già stato soppresso; in altri conventi fu trasportata pure la biblioteca. Ciò che non poteva essere trasportato o perché ingombrante o perché il tempo mancava, fu consegnato ad Antonio dì Giovanni Bastogi, confinante del convento, che per questo mise a disposizione due stanze della propria abitazione.
 
E' probabile che in tale circostanza sia andato smarrito anche materiale d'archivio, dal momento che antecedentemente alla soppressione esiste solo un "estratto" di annotazioni varie su documenti precedenti. Per disposizione dell'Arcivescovo di Firenze l'ecclesiastico pratese accusatore che dopo la partenza dei frati si era installato in convento, tornò nella sua diocesi; la chiave del convento passò prima al pievano di Filettole e quindi ad Antonio di Giovanni Bastogi. Il convento fu messo all'asta e ne entrò in possesso il marchese Tommaso Salviati che lo tenne fino all'epoca del ritorno dei cappuccini con molto rispetto.
 
Il ritorno dei cappuccini a Prato avvenne nel 1792, in un contesto che è inutile ripetere perché fa parte della storia della città. Ed avvenne dopo che la città di Prato (come quella di Pistola) inviò deputati al Granduca Ferdinando Terzo implorando il ritorno dei frati.
 
Il cronista (3) scrive una pagina interessante:
"Giunsero a Prato la mattina del 3 Agosto tanto il Padre Provinciale e compagni quanto il nuovo Padre Presidente (leggi superiore) e subito si presentarono al Vicario regio... ed al Cancelliere della comunità, ambedue impegnatissimi per contentare le brame pubbliche e per rivedere i Cappuccini nel ripristinato convento.
 
“Non può descriversi la gioia che al comparire dei Cappuccini medesimi nella città spiccava nel volto dei pratesi rifacendosi dai primi signori fino al più vile della plebe. Le lacrime di tenerezza erano comuni accompagnate dalle più cordiali espressioni atteso che gli stessi più graduati ecclesiastici, i nobili e cittadini, per niente dire degli artieri nei rispettivi incontri si osservavano: alcuni baciarci il sacro abito altri la mano e tutti con giubilo inesplicabile compiacersi del nostro arrivo.
 
“Sbrigati dalla città ci portammo al convento dove Antonio Bastogi aveva preparato la chiesa ad oggetto che si cantassero le litanie della Santissima Vergine, come fu fatto ad immagine scoperta col concorso di molto popolo. Nella sera furono fatti molti fuochi d'allegrezza non solo intorno al convento ma perfino nell'estensione della campagna anco remota al convento medesimo.
 
“Queste feste di giubilo furono rinnovate dai pratesi nella domenica immediata nella quale vollero che fosse cantato in chiesa nostra un solenne "Te Deum" il quale fu eseguito dal Signor Canonico Lorenzo Paoli con l’assistenza dì altri signori ecclesiastici; e nella sera furono replicati i fuochi di allegrezza e furono fatti perfino, con le dovute licenze, nella piazza della cattedrale medesima".
 
Ho trascritto questo brano piuttosto lungo per le ragioni che vedremo in seguito parlando della vita dei frati.
 
Diverse famiglie pratesi, compresi tre Canonici, riscattarono il convento dal marchese Salviati e lo riconsegnarono ai cappuccini. Il contratto di compra porta solo il nome di Antonio Bastogi perché, per la benevolenza dimostrata verso il convento, fu riconosciuto lui come unico responsabile.
 
Dopo pochi anni che i Cappuccini si erano ristabiliti a Prato ed avevano iniziato nuovamente la loro vita di testimonianza evangelica e di apostolato, dovettero subire una seconda soppressione.
 
Il 13 Settembre 1810 Napoleone Primo decretò la soppressione dei religiosi anche in Toscana: il l5 Ottobre i frati dovevano aver lasciato i loro conventi.
 
Il Superiore Provinciale in occasione della festa di San Francesco inviò una lettera a tutti i conventi dando disposizioni pratiche per il periodo della dispersione; girando poi la cosa sullo spirituale, come accade in si-mili circostanze, scriveva che "Dio forse permette questa dispersione per le inosservanze dei religiosi". Anche a Prato i Cappuccini dovettero partire per poi farvi ritorno il 29 Ottobre 1814.
 
Dato che i Cappuccini incominciavano ad allenarsi alle forzate partenze, dopo circa mezzo secolo si pensò di sloggiarli un'altra volta dai loro conventi. E fu con la soppressione del 1866.
 
Leggiamo nel Memoriale: "Per essa gli Ordini religiosi, compresi i mendicanti, erano soppressi; i loro beni sarebbero passati al Demanio. Si concedevano però ai religiosi circa sei mesi di tempo per sgombrare; si permetteva ad essi di poter portare con sé alcuni mobili ed utensili di prima necessità, ai sacerdoti anche qualche libro; il tutto per un valore di quaranta franchi per i sacerdoti e venti per i laici; di più si assegnava loro una tenue pensione. Fu facilmente permesso che in ogni convento potesse rimanere temporaneamente qualche sacerdote in abito da prete con qualche laico per la custodia del luogo e l'ufficiatura della chiesa".
 
Per quanto riguarda Prato pare che la macchina della soppressione si sia inceppata per alcune foglie di insalata entrate nell'ingranaggio. Leggiamo nel Memoriale:
"A Prato, i religiosi, pochi eccettuati che per breve tempo si ritirarono a Pizzidimonte nella villa del Signor Antonio Franchi, rimasero in convento. Vi rimasero sotto la protezione del signor Girolamo Bastogi che aveva intentato lite al demanio per i diritti che a lui provenivano dal contratto stipulato tra il suo Antenato Bastogi Antonio e il marchese Salviati il 13 marzo 1793”.
 
Motivo della lite: il Bastogi avanzava diritti di proprietà sul convento, sostenendo che i frati vi erano solo in affitto e che ogni anno a Maggio pagavano regolarmente la quota annuale di dodici cesti di insalata!
 
Come si svolgeva
la vita dei cappuccini

 
Tenendo presente quanto abbiamo scritto nella nota introduttiva a queste pagine, possiamo stabilire quanto segue:
 

Vita di preghiera.
Fedeli osservanti delle Costituzioni, si alzavano prestissimo per l'ufficiatura corale e per la partecipazione alla Santa Messa.
L'ufficiatura corale (col Breviario di allora e non certo con quello ridotto di oggi) era distribuita nel corso della giornata come segue: Mattutino a mezzanotte, Lodi, Prima e Terza al mattino presto, Sesta e Nona prima di pranzo, Vespro nel primo pomeriggio, Compieta alla sera prima di cena. Per i fratelli laici (a volte analfabeti) al posto del Breviario c'erano i Pater noster imposti dalla regola: “ventiquattro per il mattutino, per le lodi cinque, per prima, terza sesta e nona per ciascheduna di queste ore sette, per il vespro dodici e per compieta sette".
C'erano poi in comune due ore di meditazione al giorno: la prima, secondo le stagioni, o al mattino presto dopo l'ufficiatura corale o dopo il mattutino di mezzanotte; la seconda alla sera dopo compieta. Prima della meditazione del mattino 'venivano recitate le Litanie dei Santi; prima di quella della sera le Litanie della Madonna.
Le Costituzioni raccomandavano di non aggiungere in coro altra preghiera per dare o lasciare molto spazio all'iniziativa privata.
 

Vita di lavoro.
Secondo comando della regola i Cappuccini si guadagnavano da vivere col lavoro:
In primo luogo il lavoro apostolico. Venne incrementata, nell'oratorio primitivo la devozione alla Madonna, tanto che (come già scritto) si dovette pensare alla costruzione della prima chiesa; ed in questa chiesa la porta laterale che dava su via S.Anna (chiusa qualche anno fa) veniva aperta nelle solennità quando il concorso dei fedeli lo richiedeva. Le spese che frequentemente venivano fatte per tenere decorosamente la chiesa e rifornire la sacrestia stanno a dimostrare l'amore di quei frati per la casa di Dio.
Da notare: nelle 'Memorie estratte" del 1710 esiste l'elenco di persone pie seppellite o nella nostra chiesa o nei pressi della medesima; elenco che risulta aggiornato nei decenni seguenti. Naturalmente precede la dicitura "con la facoltà dei nostri Superiori", perché le Costituzione come norma vietavano di seppellire i secolari nei nostri luoghi.
C'era poi il ministero della predicazione (come vedremo in seguito) e vari impegni di Messe fuori convento; ogni superiore si premurava di annotare gli impegni fissi in modo che il successore si potesse regolare. Trascrivo dalle "Memorie estratte" una paginetta indicativa del lavoro apostolico di quei cappuccini del 1600: "La domenica delle Stimmate, fra l'Ottava del Padre San Francesco, si mandano due Messe alla Compagnia delle Stimmate di Bonistallo eretta dai nostri Cappuccini; ed è una compagnia numerosa, austera ed esemplare, veste abito simile al nostro, vanno scalzi, cinti di fune e molti dei nostri frati sono di essa Compagnia ed in quel giorno gli si deve dare la lista dei morti nostri religiosi acciocché se ve ne fosse alcuno di detta Compagnia ricevino il suffragio dell'uffizio con quattro Messe che sogliono dire; e le donne gli dicono la Corona"...
In secondo luogo il lavoro manuale nell'orto e nel bosco del convento; questo soprattutto per fratelli laici che in quei tempi erano numerosi. Da aggiungere pregevoli lavori artigianali fatti anche per altri conventi o per altre chiese (4).

 
Vita di povertà ed austerità.
Si concretizzava:

Nel modello di costruzione del convento; sì richiami a questo proposito quanto scritto circa il convento del he 1500 e nella rispettiva nota. Si pensi che anche quello del 1760 fu costruito con fedeltà alla misura stabilita dalle costituzioni del 1643.

Nell’abbigliamento, che era ridotto al minimo indispensabile. Da notane che il cronista delle “Memorie estratte" ci fa sapere come fosse uso mettere le "suola" (sandali) durante la processione del Corpus Domini; e questo in un tempo in cui tale “suola" erano già permesse dalle costituzioni.
Nel refettorio, ad eccezione che nelle feste, dopo aver letto un brano di Bibbia si passava alla lettura di qualche devoto libro.
E nella mensa, a quanto pare doveva essere molto parca anche perché c'erano norme tassative delle costituzioni che allora si osservavano. Inoltre si osservavano rigorosamente le quaresime imposte dalla Regola: “e digiunino dalla festa di Ognissanti fino alla Natività del Signore; ma la santa quaresima che incomincia dalla Epifania insino ai continui quaranta giorni... quelli che volontariamente la digiunano siano benedetti dal Signore e quelli che non vogliono non siano costretti. Ma l'altra insino alla resurrezione del Signore digiunino e in altri tempi non siano tenuti se non il venerdì a digiunare”...

Nella questua, che veniva praticata come mezzo di apostolato dei fratelli laici e come risorsa per vivere. La Regola infatti stabiliva che qualora il lavoro non bastasse per vivere si dovesse ricorrere alla mensa del Signore domandando l’elemosina. Così nella cronaca è rimasto l'elenco dei vari generi che venivano questuati: olio, lana, cera, legumi, castagne, concime, paglia, legna; come è rimasto l'elenco del luoghi dove andavano a questuare. C'è la lista di ciò che offriva annualmente la "Pia casa dei Ceppi; si parla deliberazione del Consiglio Generale che in data 16.5.1680 assegnava al convento "quattro pietanze per ogni mese di lire sette l'una, che ogni anno sono scudi quarantotto”; sempre dai Ceppi si mandava per la settimana santa “il cero pasquale, la cera per il Lumen Christi, per l'altare e triangolo". Si annota come il 17, Agosto in occasione dell'anniversario di Francesco di Marco Datini si inviava al convento "per onorario o riconoscenza due libbre di cera, cinque libbre di carne, dodici pani e due fiaschi di vino con soldi tredici e quattro da spendersi in frutte. Dai libri di cronaca risulta poi facilmente come quei Cappuccini, sempre con fedeltà alla Regola rinunziavano alle elemosine man mano che aumentava il “reddito da lavoro”. Da notare che non si faceva (perché proibita dalle costituzioni) la questua della carne, delle uova e del formaggio; ma se questi generi venivano offerti si potevano accettare usandoli però con spirito di povertà.
 

Spirito di umiltà e semplicità. Di questo, ovviamente, in quei vecchi e laceri manoscritti non se ne parla. Ma vi traspare continuamente: dal modo di fare la cronaca, dal giudizio sugli avvenimenti, dal frasario che viene usato. Così il cronista autore delle "Memorie estratte" liquida i tre cappuccini morti durante la peste scrivendo semplicemente "Nella cappella di San Roco fuori porta Fiorentina sono seppelliti i religiosi che morirono di contagio nel fare carità"; e scrive queste parole perché deve fare l'elenco dei religiosi defunti. Similmente, mentre spende tante parole nell'elogiare secolari seppelliti nella nostra chiesa, non ne spende nemmeno una di elogio per religiosi. Uno dei vari episodi che stanno a testimoniare come quei cappuccini vivessero realmente l'umiltà evangelica; come fossero preoccupati più di “essere”e di fare che di tramandare ai posteri.
Questo spirito si traduceva poi in servizio generoso di carità e di apostolato a vantaggio della chiesa e dei più bisognosi. Anche a Prato, come in quasi tutti i conventi, esisteva la stanza dei poveri; fornita di caminetto e di letto serviva per rifocillare e far riposare qualche povero di passaggio, in un tempo in cui almeno dei noveri ci si poteva fidare.

 
Parlando del ritorno dei cappuccini a Prato dopo la soppressione del 1787, ho trascritto una lunga pagina di cronaca sull'accoglienza festosa e devota che ebbero dai pratesi; quella pagina, anche se abbellita da un po’ di entusiasmo, è indicativa del posto che i cappuccini avevano preso nell'animo dei pratesi.
 
Fu probabilmente per questo che il Granduca di Toscana Ferdinando Terzo con rescritto del 17 Marzo 1798 chiamava i Cappuccini a prestare l'assistenza religiosa all'ospedale di Prato. Tale assistenza iniziò il 14 Maggio dello stesso anno.
 
Il carisma della predicazione
e i Cappuccini di Prato

 
 
Il carisma della predicazione è una delle caratteristiche del francescanesimo. San Francesco vi dedicava uno dei dodici capitoli della regola, esattamente il nono e mandava i suoi frati a predicare. Per cui quando nella prima metà del 1500 fu approvata la riforma cappuccina e quei frati si misero a predicare, non facevano altro che continuare nel nuovo Ordine una tradizione ormai consolidata e che aveva conosciuto figure illustri passate alla storia.
 
Nelle prime Costituzioni cappuccine, quelle del 1536, è dedicato alla predicazione il capitolo nono, a commento del nono capitolo della regola.
Iniziando dicono che "annunciare la parola di Dio ad esempio di Cristo maestro di vita, è uno dei più degni, utili, alti e divini uffici che vi siano nella chiesa di Dio, donde dipende principalmente la salvezza del mondo". Raccomandano quindi ai superiori di preferire "che siano pochi e buoni i predicatori anziché molti e non adatti"(5).
Passano poi a parlare del contenuto della predicazione: "sull'esempio dell'apostolo Paolo predichino il Cri-sto Crocifisso"… “dovrebbero allegare solamente Cristo la cui autorità prevale su tutte le persone e i ragionamenti del mondo, e i santi Dottori”... “nella loro predicazione usino la sacra scrittura e specialmente il nuovo testamento ma soprattutto il santo vangelo".
Esortano i predicatori "ad imprimersi Cristo benedetto nel cuore e darGli possessione pacifica di se stessi cosicché per sovrabbondanza di amore sia Lui a parlare in loro non solo con le parole ma molto più con le opere". Raccomandano vivamente di saper unire il ministero di Marta (predicazione) con quello di Maria (contemplazione). Invitano quindi al rispetto dell'uditorio scrivendo: " I loro discorsi siano ponderati e casti e non si rivolgano a persona alcuna in, particolare, perché, come dice il glorioso S.Girolamo, il parlare in generale non offende nessuno; riprovando certamente i vizi ma onorando l'immagine del creatore nella creatura".
Perché poi "un così nobile e fruttuoso esercizio come la predicazione nell'Ordine nostro non venga meno con gravissimo danno delle povere anime dei secolari" ordinano che in ogni provincia "vi siano alcuni devoti e santi studi, ridondanti di carità e di umiltà sia nel campo grammaticale sia nelle lettere sacre". A questo punto aggiungono la raccomandazione che in ogni convento vi sia una adeguata biblioteca.
Infine dopo aver raccomandato di studiare in "povertà ed umiltà" chiudono il capitolo di sei pagine con la preghiera da recitarsi prima dello studio: "signore io vilissimo servo tuo, indegno di ogni bene, voglio entrare a vedere i tuoi tesori. Degnati di introdurmi, così indegno come sono e in queste parole e in questa santa lezione, donami la grazia di tanto amarti quanto conoscerti, perché non voglio conoscerti se non per amarti, Signore mio, Creatore mio. Amen"(6).
 
Ho abbondato in questa citazione perché quel capitolo sanciva e raccomandava un nuovo tipo di predica-zione che per quell'epoca fu rivoluzionario e che spiega il successo della predicazione cappuccina. In un tempo in cui la predicazione era fatta troppo spesso di vacuità, di inutili discussioni teologiche, di vanità personali, quel capitolo metteva al centro Cristo e il suo vangelo. L'ambiente del tempo era descritto da Bernardino Ochino da Siena con queste parole: "Predicare l'Evangelio non è predicare sogni né visioni, poesie, fabule et ínventioni umane; non è predicare le formalità, quiddità, hecceità et questioni curiose inutili". La reazione cappuccina è espressa dalle Costituzioni quando scrivono: “chi non sa leggere Cristo libro della vita non ha dottrina da poter predicare"; e quando aggiungevano che “all'ignudo e umile crocifisso non si addicono parole accurate, ricercate e affettate, ma nude, pure, semplici, umili e chiare, nondimeno divine, infocate e piene di amore".
Tra parentesi: sarebbe interessante andare a vedere per quale ragione nel 1743 Benedetto XIV affidava per sempre all'Ordine Cappuccino l'onore del predicatore apostolico.
 
Venendo al nostro caso concreto, sappiamo che i Cappuccini in Toscana hanno sempre predicato; e verso la metà del secolo scorso si creò, in vista della predicazione, un apposito studio di sacra eloquenza della durata di circa due anni.
Per quanto riguarda in particolare il convento di Prato, i vecchi manoscritti registrano ben poco; e ciò per le ragioni accennate nella Nota introduttiva a proposito del la cronaca. Quando se ne parla, ciò avviene per inciso, o parlando di ben altri argomenti. Per citare alcuni esempi: Sappiamo che P. Francesco da Prato, responsabile del lazzaretto, era un "predicatore valoroso" e che riuscì a convertire un po’ quella gente perché "predicatore fervoroso e zelante". Sappiamo che l'acquedotto del convento costruito nel 1700 fu pagato con l'onorario della predicazione in Duomo nel triennio 1709-1711 con "lo sborso anticipato dell'annuo onorario di cento scudi". Sappiamo che nel 1600-1700 si predicava a Bonistallo per le Quarantore, per il Triduo delle Stimmate e per la Quaresima. E l'autore delle "Memorie estratte" era “Predicatore e Guardiano di Prato".
Certamente vi sono sempre stati a Prato dei predicatori; del resto basta dare un’occhiata anche fugace al catalogo dei libri della vecchia biblioteca per rendersene conto. Però si trattava probabilmente di una predicazione un po’ disarticolata: cioè, pur essendo raccomandata e favorita dai Superiori, nel concreto doveva essere molto legata all'iniziativa personale; ma soprattutto era molto condizionata dalla composizione della famiglia religiosa (abbondavano i fratelli laici) e più ancora era condizionata dai mezzi di trasporto che mancavano.
 
Per trovare a Prato qualcosa di veramente organizzato bisogna arrivare al 1901; allora, sia perché in Provincia l'amore alla predicazione si stava affievolendo e sia per attuare le disposizioni del Capitolo generale dell'Ordine, fu istituito dai Superiori maggiori il Collegio dei Missionari (cioè Predicatori). Scrive il cronista: "Ciò si fece perché i detti Missionari potessero godere gli inestimabili vantaggi dell'unione; avere un centro d'azione, un punto di ritrovo; comunicarsi le idee, il frutto dei loro studi, della loro esperienza; edificarsi a vicenda; soddisfare prontamente le richieste dei pastori. A sede di detto Collegio fu scelto il convento di Prato, come quello che presentava le condizioni più favorevoli allo scopo, essendo un convento centralissimo... Da notare che a Prato fu stabilito il centro, ma naturalmente si predicava arche in altri conventi della Provincia.
 
Dedicandosi sia alle predicazioni tradizionali come quaresime, Novene, Tridui ecc. che alle Missioni popolari, tale Collegio è andato avanti fino al 1953 (esclusa ovviamente la parentesi della guerra). In tale anno, a Dicembre, vi fu collocata una sezione del Seminario minore; il centro organizzativo della predicazione passò a Firenze mentre a Prato rimase un discreto gruppo di predicatori.
 
Il Seminario a Prato, però, costituisce solo una parentesi di quindici anni e nella vita del convento merita solo un accenno fugace. Aperto un, po’ per ragioni logistiche e un po’ per preparare ì seminaristi agli esami di stato, finì per diventare nella Provincia la prima esperienza di un centro per vocazioni adulte.
 
Dopo la chiusura del seminario, l'organizzazione della predicazione tornò a Prato e divenne “Centro provinciale per l’evangelizzazione”. Tale centro oltre ad essere formato da un gruppo di predicatori in quasi continua attività, coordina il lavoro dei predicatori della Provincia Toscana. L'attività continua a svolgersi sia per le predicazioni tradizionali che per le Missioni popolari, riscoperte dalla Chiesa italiana nel loro significato ed aggiornate dai Missionari nel metodo nuovo e più adeguato ad una società secolarizzata. Per quanto riguarda le Missioni, soprattutto a livello cittadino, c'è piena collaborazione tra la Provincia Toscana e le altre Provincie cappuccine d'Italia, sia per lo scambio di esperienza che per l'invio del personale. Lo stesso discorso di collaborazione c’é anche con altri Ordini religiosi che organizzano Missioni o che sono di-sposti. ad inserirsi nelle nostre. Ovviamente oltre al vantaggio di una maggiore garanzia di riuscita, c'è quello di un arricchimento vicendevole.
Come campo di lavoro, per ovvie ragioni è stata data la precedenza alla Toscana; ma praticamente si svolge in ogni regione d'Italia, con qualche puntata all'estero per gli italiani ivi residenti.
 
Nota marginale sulla
Biblioteca del Convento

 
Le prime notizie scritte, almeno di una certa importanza si hanno nel manoscritto della fine del 1700. Vi si legge: "In occasione della soppressione di Scipione de’ Ricci essendo stati i libri distribuiti ad altri conventi esistenti né essendo quelli di Prato contrassegnati tutti, non fu possibile che fossero tutti ritrovati nonostante la diligente ricerca fatta dal Padre Provinciale in occasione della visita pastorale". E' una frase abbastanza significativa. Infatti: Se si pensa che nonostante il recupero parziale rimase nella biblioteca un patrimonio culturale notevole per un piccolo convento; se si pensa che le disponibilità finanziarie del tempo erano piuttosto scarse; se si pensa infine alle acrobazie che si dovettero fare per salvare in dodici ore la biblioteca; se si pensa a tutto questo, si ha l'idea di come i Cappuccini del tempo amassero la cultura.
 
Quei libri recuperati furono giudicati insufficienti ed il cronista nel 1796 scrive ancora: °Fu pertanto giudicato espediente far provvisione di alcuni santi Padri ed espositori per lo valore di scudi 60; e questa spesa fu intieramente soddisfatta con le limosine del convento al signor Franco Alessandri libraio in Firenze, dentro l'intiero corso dell'anno passato 1795, in diverse rate come apparisce dal libro di entrata e uscita. Il restante dei libri, a riserva di quelli che furono rimandati, sono stati applicati da diversi religiosi come può vedersi nei rispettivi frontespizi”.
 
Tre anni dopo, la biblioteca venne dì nuovo rifornita. Sintetizzando la pignola enumerazione del cranista, si tratta di opere, almeno per allora, monumentali di petristica, storia, oratoria (Bossuet in 36 volumi!) e qual-cosa di letteratura latina. Da notare che a quei tempi non si compravano libri perché facessero bella mostra negli scaffali! Infatti a distanza di due o tre secoli aprendo quei libri si possono ancora notare qua e là i segni della lettura attenta e le stimmate dell'uso!

 
Note

 
1) Le Costituzioni dei 1536 dopo aver ricordato che "gran differenza vi deve essere tra i grandi palazzi dei ricchi e i piccoli tuguri dei roveri..." davano un picco colo modello secondo il quale costruire: "Le celle non superino nove palmi in lunghezza e larghezza, dieci in altezza; le porte siano alte sette palmi e larghe due e mezzo; le finestre alte due e mezzo, larghe uno e mezzo; l'andito del dormitorio sia largo sei palmi". E le Costituzioni dei 1575 aggiungevano: "Perché i palmi non sono tutti della medesima misura, si è posto in fine del libro la misura del mezzo palmo". Pensando che il palmo era di ventisei cm. scarsi si avevano celle di 2,30 per lato e 2,50 per altezza. Queste misure rimarranno fino ai primi anni del nostro secolo, quando a motivo della salute dei frati saranno aggiornate; scompariranno del tutto con le ultime Costituzioni.
 
2) Le Costituzioni dal 1536 scrivevano: "E perché per coloro che non sono legati da affetti terreni è dolce, giusto e doveroso morire per Colui che morì per noi in croce, si ordina che nel tempo della peste i frati soccorrano gli appestati, secondo che disporranno i loro ministri, i quali in tale circostanza si sforzeranno di tenere aperti gli occhi della prudente carità". Nelle Costituzioni seguenti questo paragrafo sarà tolto; ma ne rimase lo spirito che animò sia i superiori che i sudditi anche nella peste di Prato.
 
3) Il cronista in questione è P. Bernardo da Firenzuola che con improba fatica ha ricostruito la storia del convento dalle origini sino alla fine del 1700.
 
4) Parlando di orto e di bosco le Costituzioni del 1536 scrivevano. "si ordina di non tagliare le viti o gli alberi (superflui) che si trovano nei luoghi scelti a dimora dei frati...”. Le Costituzioni del 1643 aggiungevano pene specifiche, molto severe, per chi gli avesse tagliati senza il permesso del Superiore Provinciale. Che non sia una indicazione utile nella soluzione del moderno problema ecologico?
 
5) Nel 1578 su 3746 religiosi solo 196 erano predicatori; nel 1618 i sacerdoti dell'Ordine erano il 46% di cui solo il 29% erano predicatori.
 
6) Negli aggiornamenti che le Costituzioni hanno avuto attraverso i secoli, questa stima della parola di Dio e la conseguente impostazione della predicazione, è sempre rimasta, con un testo quasi uguale. Nelle Costituzioni aggiornate al Concilio Vaticano secondo quel capitolo è stato ridotto a mezza pagina e la predicazione é stata inserita tra le tante possibili attività apostoliche.

Conclusioni

Nel 2012, seguendo la crisi di vocazioni che ha investito tutti gli ordini religiosi, i Cappuccini Toscani hanno deciso di chiudere diversi grandi conventi in tutta la regione. Insieme a Pisa, Pistoia e Siena anche il convento di Prato è stato chiuso. Resta, in quel luogo, la viva presenza dell'Ordine Francescano Secolare a cui è affidato il delicato e gravoso compito della testimonianza del carisma. Il convento è stato "affidato" ad una associazione diocesana che si è già prodigata per ristrutturarlo e mantenerlo attivo fino al, mai così agoniato, ritorno dei Frati Cappuccini. La Chiesa, il cenacolo e altri locali del convento sono nelle amorevoli cure dei terziari. I Padri Cappuccini, sempre meno numerosi e sempre più avanti con l'età, continuano premurosamente ad assicurare la celebrazione delle messe festive.
Via Diaz 13 - 59100 Prato - Per informazioni 349/4021570
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